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Scelte verdi

Ho aspettato due mesi prima di far uscire questo articolo, perché mi sembrava arrogante dire agli altri cosa fare, senza avere una conoscenza delle tematiche abbastanza approfondita per avere certezze. Tuttavia, penso che miei eventuali errori non cambino il pensiero di base, ossia che dobbiamo piantarla di trovare capri espiatori.

Capire il problema

Che il problema ci sia, negazionismo a parte, tutti lo sanno: Thumberg l’ha portato alla ribalta, ma l’ambientalismo è in giro da almeno un cinquantennio. Meno chiaro potrebbe essere quale sia il problema: come sono legati tra loro le estati calde, la moria di tartarughe e i pesticidi? Rispondere è complesso, perché molti sono i legami possibili tra i fenomeni che accandono; provo a schematizzare. L’inquinamento può essere meccanico (animali marini soffocati a causa di sacchetti di plastica; autostrade che impediscono l’attraversamento agli animali; dighe che alterano il flusso d’acqua) o chimico-fisico (anidride carbonica che altera l’assorbimento di calore del pianeta; pesticidi che avvelenano gli insetti impollinatori; rifiuti scaricati nelle acque che portano a fenomeni di ipertrofia).

Come abbiamo visto, sono oggetto di danni da inquinamento più categorie, che ci interessano in modo molto diverso: infatti, se la composizione atmosferica e l’andamento delle popolazioni del microbioma (come il fitoplankton, che produce ossigeno) sono probabilmente i fattori che più influenzano la nostra sopravvivenza, colpiscono però poco la nostra emotività; mentre molto di più l’estinzione di macrofauna (mammiferi e uccelli in particolare) e le perdite paesaggistiche (i ghiacciai alpini che scompaiono, i boschi in fiamme) ci stimolano a reagire.

C’è poi un altro fattore da considerare: il cosiddetto feedback. Alterare, per esempio, la quantità di alberi in un bosco significa anche alterare la quantità di anidride carbonica che esso è in grado di assorbire; ciò altererà il clima e favorirà gli incendi, che contribuiranno a propria volta a ridurre il numero di alberi.

Capire l’impatto delle scelte personali

Visto quale sia il problema, che tipo di azione intraprendere? Protestare è certo utile, per portare l’attenzione pubblica a queste tematiche; in definitiva si dovranno chiedere interventi politici, globali; però è chiaro che per sapere quali interventi chiedere si dovrà in primo luogo informarsi. Inoltre, nulla cambierà a livello economico, se non sarà avvenuto un cambio nella domanda che la popolazione farà al mercato. Mi sembra quindi ragionevole dire che è necessario agire a livello personale (senza esimersi quindi della responsabilità del cambiamento) e che, per farlo in modo efficace, è opportuno chiedersi come le nostre scelte impattino sul problema. Chiarisco questo punto: l’effetto non è necessariamente diretto, come può esserlo evitare di utilizzare l’automobile; ma anche scrivere un articolo come questo, pur essendo di per sé inquinante (leggete sotto), ha il potenziale di influenzare le scelte altrui (almeno nelle mie speranze). Ho cercato di valutare alcune questioni controintuitive, proprio per questo esemplificative di come buone intenzioni, se non supportate da un’opportuna informazione, possano portare a scelte controproducenti; esemplificative, anche, di come si tenda a tenere “lontano dagli occhi” l’impatto delle scelte che al cuore, invece, sono vicine.

Cose elettriche

Partiamo da qui, e diciamolo subito chiaro: possedere e usare un cellulare inquina parecchio. Produrre un elettrodomestico qualunque porta all’emissione di parecchia anidride carbonica1, diciamo dell’ordine delle decine di kilogrammi; per i cellulari, a questo si aggiunge il costo (ambientale, ma anche sociale) dell’estrazione delle terre rare, necessarie per la loro fabbricazione (https://theconversation.com/how-smartphones-are-heating-up-the-planet-92793). Possedere un cellulare, poi, comporta l’uso dell’infrastruttura composta da ripetitori e server. Un server è un computer che fornisce ed elabora dati: per esempio, le foto che vedete sui social network sono scaricate sul vostro cellulare, che per farlo si connette a un server, appunto, sul quale sono conservate; in questo modo, non c’è bisogno di conservarle sul telefono di ciascun utente che desidera vederle. Se questo permette di ridurre la quantità complessiva di risorse, che possono essere condivise (invece di un personal computer per ognuno, un server per molti), tuttavia i server esistono e consumano: nell’articolo Assessing ICT global emissions footprint: Trends to 2040 & recommendations viene proposto di renderli dipendenti completamente da fonti rinnovabili2. Infine, qua mi baso sulle osservazioni che ho fatto personalmente, mi risulta che la batteria di uno smartphone sia scaricata principalmente, oltre che dai dati, dall’uso dello schermo. Una buona idea sarebbe ridurre la luminosità e spegnere lo schermo quando non serve. Morale: prima di tutto comprare meno smartphone, sia facendoli durare di più, sia comprandoli ricondizionati (ossia usati e rimessi in sesto: mi sono trovato bene sia con https://www.backmarket.it/, sia con https://www.ekventi.it/).

Cose semovibili

Rimando al mio articolo sul tema per approfondire l’impatto del muoversi in automobile (e del perché dovrebbe essere la prima scelta verde di ciascuno). Morale: non usate l’automobile, almeno per quanto riguarda i vostri spostamenti quotidiani.

Cose buone

Mi sono posto il seguente problema: quanto inquina mangiare qualcosa di importato? Immaginavo che il trasporto di un frutto esotico fosse talmente pesante dal punto di vista delle emissioni da giustificare l’acquisto di alimenti cosiddetti “a km zero”. Ebbene, mi sbagliavo: come si legge qui, talvolta la conservazione (per esempio, tramite refrigerazione) è talmente inquinante e prolungata nel tempo da rendere meno impattante l’importazione! Questo complica le cose, dato che non c’è una regola aurea da seguire, ma bisogna valutare caso per caso; però continua a sembrarmi limpido che acquistare alimenti “non di stagione” (ossia prodotti in altri periodi dell’anno rispetto all’acquisto) sia un ottimo modo per rendere più probabili la necessità o dell’importazione, o della lunga conservazione. Discorso a parte meriterebbe il Fair Trade, ossia il commercio rispettoso dei diritti umani e dei lavoratori, i cui effetti sociali positivi potrebbero mitigare l’inquinamento. Giusto per chiarire con qualche esempio, controllate sulle etichette, spesso o nella maggior parte dei casi sono importati (parlo dell’Italia): banane, cocchi, datteri, fichi, arance, mandorle, noci, arachidi, anacardi, soia, pesce in scatola. Morale: comprate alimenti locali e stagionali, per quanto possibile. Questo potrebbe voler dire rinunciare a qualche alimento, o almeno ridurne il consumo.

Troppe cose

Ho già riportato, di nuovo nell’articolo Streik mit Greta, di come utilizzare sacchetti di cotone sia in realtà di fatto più inquinante che usarne (e riusarne) di plastica. Aggiungo che mi sembra probabile che lo stesso valga per una borraccia di plastica e una, decisamente più alla moda, di alluminio: bisogna stare molto attenti, perché è facile che quella che nasce come idea ecologica diventi marketing. Vediamo meccanismi simili per utensili in bamboo, contenitori di vetro, cazzilli di ogni genere che vengono semplicemente riproposti in materiali meno antropici; ma bisogna verificare che ciò sia meno inquinante. Il problema che individuo è il vecchio concetto del consumismo: il desiderio di possedere oggetti nuovi ci porta allo spreco.

Andrei ancora oltre, dicendo che il problema è di capriccio: scegliamo di avere una quantità di lussi di cui in verità non abbiamo bisogno. Ho fatto qualche esempio in questo articolo: cellulari nuovi, l’automobile per muoversi in città, tutti i cibi in tutte le stagioni; aggiungo anche la casa riscaldata o rinfrescata sempre alla temperatura perfetta, la doccia calda tutti i giorni, vestiti nuovi anche se i vecchi sono ancora in buono stato… Saprete andare avanti.

Chiediamoci quante delle scelte che facciamo, che magari diamo per scontate, siano necessità e quante comodità e informiamoci su quanto queste scelte impattino sull’ambiente. Vorrei, insomma, chiudere con questo concetto, che ritengo fondamentale: non ci salveremo senza rinunciare a qualcosa (rimando qui per una conclusione simile; grazie Rob).


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NOTE:


  1. Gli articoli che ho preso come riferimento hanno come autori Yung, Muthu e Subramanian, ricercatori a Hong Kong. Li si trova, raccolti, nel libro Environmental Carbon Footprints e ho letto in particolare Carbon Footprint Analysis of Printed Circuit Board e Carbon Footprint Analysisof Personal Electronic Productd - Induction Cooker: produrre e fornire al consumatore una scheda elettronica vuol dire emettere circa 283kg di CO2, mentre per un fornello a induzione tale valore risulta circa 33kg di CO2.

  2. Va detto che Facebook e Google hanno preso questa cosa sul serio, il primo impegnandosi a utilizzare solo fonti rinnovabili per i nuovi datacenter (i server), la seconda addirittura essendo dal 2017 completamente rifornita da fonti rinnovabili (principalmente eolico).